— Nathan

Il futuro dell’Europa comincia a 60 anni

60-RomeLa giornata del 25 marzo per la celebrazione dei 60° della firma dei Trattati di Roma avrebbe potuto essere una grigia cerimonia retorica per celebrare il tempo che fu ma per fortuna non è stato così.
Il sessantesimo è stato preceduto dallo “sblocco” di una linea di sviluppo, da parte del partner più importante ovvero della Germania di Angela Merkel, quella idea di procedere su “più velocità” che è poi stata fissata dal “G4” di Versailles ovvero dai quattro paesi più importanti dell’UE (ora che il Regno unito è in procinto di andarsene a causa della sciagurata Brexit).

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L’Europa a “più velocità” però esiste da sempre. La tecnica dell’integrazione fino ad ora è stata quella dei piccoli passi: si chiama funzionalismo europeo, ovvero si mettono in comune le cose che servono, mano a mano che si presentano le occasioni. Questo ha già prodotto diversi cerchi concentrici: l’euro e Schengen sono i più noti ma in realtà le velocità sono già molte. Non si tratta quindi di un male in sé ma bisogna capire come verrà declinata questa linea: le diverse velocità possono convivere se esistono cooperazioni rafforzate aperte a tutti (come hanno fatto notare i paesi di Visegrad che temono di restare indietro) e se rimane l’obiettivo comune di progredire insieme per arrivare prima o poi all’obiettivo grande che non può essere altro che la federazione europea. Una cosa totalmente diversa sarebbe puntare alle “due velocità”, ovvero una serie A e una serie B: se il progetto è quello di dire “vabbè, non ce la faremo mai, quindi cristallizziamo l’Europa intergovernativa” allora sarebbe la morte del sogno europeo.

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L’atteggiamento contrario è stato reso plasticamente dalla Polonia che fino all’ultimo ha minacciato di non firmare la Dichiarazione di Roma poiché alla premier Beata Szydło e al suo paese impegnato a frenare qualsiasi impeto sovranazionale sembrava troppo audace nel mettere nero su bianco questo slancio.
Dobbiamo però evitare di immaginare questa divisione fittizia tra ovest e est, tra paesi “maturi” e “immaturi” dal punto di vista democratico: se è vero che Ungheria e Polonia vivono preoccupanti torsioni populiste e parafasciste è anche vero che pericoli analoghi sono apparsi in Austria, in Olanda e tra poco sapremo se saranno sventati in Francia.
La riunificazione del continente non è stata quindi un errore: abbiamo acchiappato una finestra di opportunità unica lasciando i paesi dell’est nel limbo per 15 anni. Senza questa operazione oggi là sarebbe tutta Ucraina. Il dilemma tra allargamento e approfondimento è sempre stato presente ma i paesi dell’est avevano tutti acconsentito ad adottare al Costituzione europea che invece fu bloccata da Francia e Olanda, paesi fondatori.
Sappiamo poi che l’UE si divide in maniera differente sui diversi temi: in campo economico parliamo di divisione tra nord e sud ed esempio. Questo per dire che se ci mettiamo a fare gli europeisti più europeisti tagliamo per diverse ragioni l’est, poi il nord, poi il sud, poi l’ovest e restiamo solo noi…

EU60-logo_banner_itAl contrario abbiamo visto iniziative importanti della Commissione europea che ha voluto pubblicare un Libro bianco sul futuro dell’Europa per delineare 5 scenari possibili di sviluppo (da quello più ambizioso a quello più conservativo) ma non solo: ha voluto anche tracciare un calendario di iniziative con la pubblicazione nel 2017 di 5 documenti rispettivamente sulla dimensione sociale dell’Europa, sulla globalizzazione, sul futuro dell’unione economica e monetaria, sul futuro della difesa europea, sul futuro delle finanze nell’UE. Tutto questo per cercare di aprire nell’intero continente un dibattito approfondito sul nostro futuro.
La Dichiarazione di Roma va in questa direzione: riconosce gli enormi progressi fatti dal dopoguerra in tema di libertà, democrazia, diritti e protezione sociale, inoltre riconosce che i singoli paesi singolarmente sarebbero tagliati fuori dalle dinamiche mondiali e che restare uniti è un’opportunità per contare a livello globale. Oltre alle classiche tematiche della crescita economica e della sicurezza affronta però per prima volta in modo deciso la volontà di procedere alla creazione di un “pilastro sociale” (spinta anche dall’insistenza del premier greco Alexis Tzipras) con ‘nuovi’ obiettivi di lotta alla disoccupazione, alla discriminazione, all’esclusione sociale e alla povertà oltre all’impegno nella costruzione di una identità europea di difesa: capitoli sempre tenuti sotto traccia viste le perplessità di questa o quell’altra cancelleria.

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“La nostra Unione è indivisa e indivisibile.” recita la dichiarazione: tutti hanno capito che è necessaria una la risposta alla Brexit e al quadro internazionale mutato dall’elezione di Trump negli USA e dal mancato indebolimento di Putin in Russia.
Insomma, come ha giustamente notato il Presidente Sergio Mattarella questa ricorrenza “contiene il seme di una fase costituente” che è arrivata, come sempre, alla fine di un periodo di difficoltà (crisi dei debiti sovrani e crisi dei profughi): l’Europa infatti cresce sempre durante le crisi.

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