— Nathan

Le rinnovabili sono il domani ma il domani è oggi: #VotaSì al referendum

Perché è importante andare a votare al referendum contro le trivellazioni: i 5 motivi del no contro i 5 motivi del sì e 17 esempi di transizioni possibili verso le energie rinnovabili che sono già competitive con le fonti fossili.

Perchè siamo chiamati a votare.
Il referendum del 17 aprile “sulle le trivelle” arriva da molto lontano: potremmo andare indietro al 2008 per ricostruire la genesi che ha portato a questo esito. Sappiamo però che questo governo non è stato in grado di “neutralizzare” questo quesito come è successo per gli altri 5 che sono stati assorbiti dalla legislazione dopo la richiesta fatta da 10 regioni di poter avviare consultazioni referendarie sul tema.
Il referendum quindi c’è ed è giusto esprimersi: non si tratta del quesito che molti di noi avrebbero promosso se fosse possibile in questo paese avere referendum propositivi ma una consultazione a suffragio universale ha sempre un carattere politico, in questo caso di definizione di una linea rispetto alla strategia energetica del paese diversa da quella pro-fossili e taglia-rinnovabili che questo governo ha dimostrato di voler percorrere, anche fissando la data della consultazione nel minimo tempo di legge ed evitando di accorparla alle amministrative, circostanza che avrebbe fatto risparmiare circa 340 milioni di € allo stato.

La storia è fatta di evoluzioni e miglioramenti.
Ma veniamo al punto: perché è importante questo referendum? Lo spiega bene Gianluca Ruggieri, da cui ho preso l’ispirazione e tanti dati, nel suo intervento al convegno “Oltre le trivelle, un mare di risorse”.

«Mio nonno vendeva il Carbone perché a Milano negli anni ’50 si usava il carbone per riscaldarsi con gli impatti che potete immaginare per la qualità dell’aria. Poi negli anni ’60 arrivò Aldo Aniasi, sindaco e partigiano, e decise che era tempo di cambiare e che piano piano bisognava smettere di usare il carbone per riscaldarsi.
Il carbone fu sostituito da un gas prodotto dal carbone nelle zone esterne alla città dove ora ci sono i gasometri: si scaldava il carbone in assenza di ossigeno e generava un gas che veniva poi distribuito. Ovviamente farlo in un punto anziché in tutta la città migliorava molto le emissioni anche se rimanevano dei residui.
Negli anni ’80 c’è stata la metanizzazione, quindi c’è stata una continua evoluzione.
Aniasi quando prese quella decisione non si è preoccupato del posto di lavoro di mio nonno: avrebbe dovuto fare altrimenti? No, era ora di cambiare.
Arrivando a tempi più recenti negli ultimi 10 anni in Italia abbiamo diminuito i consumi di petrolio del 33% e del gas del 27%: il PIL non è diminuito altrettanto anche se c’è stata la crisi. Ma non è solo un fenomeno italiano: negli ultimi 2 anni nell’attività estrattiva sono stati persi 140mila posti di lavoro in USA e 100mila in Canada e non ci sono stati referendum: è semplicemente l’evoluzione.
In Italia oramai il 40% dell’elettricità è prodotta da fonti rinnovabili: era l’obiettivo che la strategia energetica nazionale (SEN) si era posta nel 2013 per il 2020 ma dopo un anno era stata già raggiunta. Non dovremo mica stare fermi per 5 anni adesso.
(Considerando tutti i consumi energetici nazionali (tutti) le rinnovabili nel 2014 sono arrivate al 17,1% erano al 7,5% nel 2005, in nove anni sono aumentate del 128%, ndr).
In realtà stiamo in una transizione, non ce ne stiamo accorgendo ma è già in corso.
Veniamo da una città dell’800 pesantemente basata sul carbone e sull’industria manifatturiera che emancipava chi arrivava dalle campagne ad una città del ‘900 basata sul petrolio e sui motori che anch’essa emancipava rispetto alla mobilità, ma stiamo arrivando ad una città del 2000 basata sulle fonti rinnovabili che sono distribuite (oggi abbiamo 500mila tetti in Italia per il fotovoltaico) e introducono un nuovo paradigma della democratizzazione dell’energia al posto del modello dell’oligopolio degli idrocarburi che non sparirà ma che avrà un altro ruolo.
Per chi non può installare energie rinnovabili da sé c’è una soluzione: se non lo puoi fare tu per vincoli ambientali, geografici, paesaggistici, lo può fare qualcun altro da cui comperare l’energia: ci sono cooperative di produttori e cooperative di distribuzione dell’energia da rinnovabili.»

Le motivazioni del no.
È quindi interessante valutare le argomentazioni dei contrari.

  1. “È un oggetto troppo specifico quello del referendum: la gente non lo capisce, servono i tecnici per scegliere”. > Falso, se la gente può scegliere chi la governa, può anche votare in un referendum, che è sempre un fatto politico: l’informazione perfetta non esisterà mai ma ci si può informare. In svizzera votano spesso e da molti anni eppure non sono sprofondati.
  2. “Ma se abbiamo i giacimenti aperti perché non sfruttarli fino all’ultimo litro?” Si tratta della “sindrome del frigorifero” ovvero la paura di sprecare il pezzetto di formaggio. > Il punto però è che se il dottore dice che quello ti fa male e puoi mangiare altro non sei obbligato a ingoiare per forza quel pezzo di formaggio. La verità è che le rinnovabili oramai convengono.
  3. “Sarà pure poco ma è sempre il 3% di gas che non dobbiamo importare e l’1% del petrolio: vuoi più petroliere nei mari”. > Ma no, in verità tra 10-20 anni la situazione sarà totalmente diversa, come lo era 10-20 anni fa: ora non lo possiamo sapere ma quel fabbisogno potrà essere coperto in altro modo. Un suggerimento tra i tanti arriva dal biogas.
  4. “Sempre meglio avere giacimenti vicini che lontani: risparmi i costi di trasporto”. > In realtà no perché gli idrocarburi sono delle società petrolifere che li estraggono e possono portarli dove vogliono.
  5. “Ma allora perché usi l’automobile che va a benzina? Non si può avere il 100% di rinnovabili subito”. > E infatti chi lo ha mai detto? Si tratta di impostare una strategia di transizione pluridecennale.

Sì versus no
È interessante notare quindi come sul referendum del 17 aprile le argomentazioni del no siano di strette vedute (è un piccolo quesito tecnico ed inutile) e rivolte al passato (assumendo che tra 10-20 anni sia tutto uguale ad oggi, cosa che ovviamente non ha senso) mentre le ragioni del sì siano di larghe vedute (il referendum ha un significato politico di impostazione della strategia energetica) e rivolte al futuro (si impieghino risorse nella transizione verso le rinnovabili anche in vista degli obblighi della COP21).

Le ragioni del sì
Vediamo allora quali sono i principali motivi per votare sì.

  1. È  inaccettabile il regime di favore degli attuali concessionari che hanno le concessioni prorogabili “per la durata di vita utile del giacimento”, quindi sostanzialmente all’infinito. Si tratta di una distrorsione del libero mercato che probabilmente sarebbe sanzionabile dall’Unione europea. Oltretutto le royalties italiane sono più basse in Europa.
  2. È necessaria una definizione della strategia energetica del paese che passa legittimamente per delle priorità. Inoltre senza il pronunciamento popolare il governo potrebbe tranquillamente cambiare la normativa per la terza volta: il governo ha modificato 2 volte il codice dell’ambiente a fine 2014 (sblocca Italia) quando ne liberalizzò la costruzione facendole diventare “opere strategiche” mentre riaffermò il divieto a fine 2015 (legge di stabilità) solo per cercare di far saltare i referendum. In realtà oggi il paese continua a sussidiare pesantemente le fossili riducendo invece gli incentivi alle rinnovabili.
  3. Ci sono delle ricadute ambientali e turistiche. Le  normali attività di estrazione provocano un aumento nella concentrazione delle sostanze inquinanti sui fondali in prossimità delle piattaforme estrattive, anche se per i dati finora resi pubblici (riguardano solo 34 dei 135 impianti attivi) dove sono stati superati i valori di legge non sembrano esserci particolari rischi per la salute umana o per l’ecosistema marino. Esistono però rischi ci sono in caso di incidente, sebbene la maggioranza degli impianti estraggono gas (i rischi ambientali sono limitati) mentre una minoranza riguarda il petrolio per cui l’impatto sarebbe maggiore tenendo anche conto della caratteristica di mare chiuso del Mediterraneo. L’estrazione di gas può però determinare un’accelerazione dei fenomeni di subsidenza sulla costa. Il principio che la fascia di mare a ridosso della costa sia trattata in modo diverso e più cautelativo rispetto al mare aperto è anche una questione di turismo che non dev’essere allontanato dalla presenza delle trivelle e dell’inquinamento conseguente. Croazia e Francia hanno recentemente deciso una moratoria sui nuovi impianti proprio per questo motivo.
  4. È quasi indispensabile sostituire quei consumi se vogliamo mantenere l’aumento di temperatura media ben al di sotto di 2 gradi centigradi come abbiamo promesso a dicembre quando abbiamo sottoscritto l’accordo COP21 di Parigi insieme ad altri 194 altri paesi. Per rispettare l’accordo è necessario ridurre il più possibile i consumi di combustibili fossili nel minor tempo possibile. In termini pratici ciò significa che ci siamo impegnati a lasciare sotto terra la gran parte delle riserve certe di idrocarburi. Chi ha fatto i conti dice che dobbiamo evitare di estrarre l’82% del carbone, il 49% del gas naturale e il 33% del petrolio che già sappiamo di avere. Questo è il motivo per cui sempre più i grandi investitori (fondi pensione, fondi sovrani) stanno decidendo di togliere i loro investimenti dal mondo delle risorse fossili.
  5. Le rinnovabili oramai convengono. Il New York Times, edizione del 4 aprile 2016 titola: “Boom dell’energia rinnovabile. Il crollo dei costi delle rinnovabili è un enorme vantaggio. La possibilità concreta di mantenere affidabili e convenienti le forniture di energia e allo stesso tempo di salvare il Pianeta dovrebbe ispirare i leader ad agire in modo più audace.”
    Bloomberg, edizione del 6 aprile 2016 titola: “Vento e solare stanno distruggendo i carburanti fossili. Eolico e solare sono cresciuti in modo apparentemente inarrestabile. Mentre due anni di crollo dei prezzi di petrolio, gas naturale e carbone hanno portato ad un drammatico ridimensionamento in quei settori, le energie rinnovabili sono fiorite. Gli investimenti nel settore energetico pulito hanno polverizzato nuovi record nel 2015 e vedono ora il doppio dei finanziamenti globali rispetto ai combustibili fossili. (…) Una ragione è che l’energia rinnovabile sta diventando sempre più economica da produrre. (…) Il motivo per cui la generazione di energia da solare sarà sempre più dominante è che si tratta di una tecnologia, non di un combustibile. In quanto tale col passare del tempo aumenta l’efficienza e prezzi scendono. Lo stesso sta accadendo per le batterie.”
    Ma soprattutto il rapporto annuale di Lazard “Levelized cost of energy analysis” che studia il costo della produzione di energia giunge a risultati oramai non contraddicibili. L’efficienza energetica è il modo migliore di spendere soldi; il solare e l’eolico sono competitivi con le fossili (con il nucleare non c’è più neanche partita); i costi del solare fotovoltaico in 6 anni sono scesi dell’82%, quelli dell’eolico “solo” del 61%.

hand holding a city

Perché puntare sulle rinnovabili.
Per comprendere il fenomeno è utile fare qualche esempio.

Insomma, le rinnovabili “sono il domani”, solo che il domani è già arrivato.

Se a questo punto non siete ancora sicuri c’è anche l’appello di 50 scienziati e “professoroni” italiani per il sì al referendum del 17 aprile. 😉

Discorso tenuto agli incontri “Le ragioni del sì” a Como il 7 aprile 2016 con Domenico Finiguerra e “#StopTrivelle” a Paullo il 14 aprile 2016 con Marzio Marzorati.

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